lunedì 25 aprile 2011

FISIOKINESITERAPIA


La domanda che più frecuentemente ci sentiamo rivolge, come operatori della riabilitazione, sono: "serve la fisioterapia nella malattia di parkinson?" e ancora "va fatta sempre?", "quando va iniziata?".
Giusti questi e la risposta più significativa ce la forniscono i pazienti stessi che hanno "provato": funziona.
La fisiokinesiterapia non vuole essere un intervento miracolistico in grado di risolvere o anche solo rallentare il decorso della malattia: semplicemente si affianca alla terapia farmacologica sin dall'inizio con lo scopo di contrastare alcuni dei sintomi della malattia e di prevenire i danni secondari conseguente alla patologia.
Quali sintomi possono essere corretti dalla fisiokinesiterapia?
Se, brevementa, definiamo la malattia come una sregolazione del movimento, la reabilitazione diventa un costante e sistematico "riallenamento" al movimento, con il qualle cerchiamo di contrastare la lentezza, la scarsa fluidità e la mancanza di coordinazione del movimento utilizzando la ripetizione di diversi esercizi ben finalizzati. La rigidità e il ralentamento motorio comportano modificazioni della postura ( atteggiamento in stazione eretta), della deambulazione e dell'equilibrio in generale, con ripercucussioni anche a livello della colonna vertebrale e della singole articolazioni che si "fissano" in posizioni viziate.
L'esercizio mira a correggere questi atteggiamenti e a prevenire l'insorgere di patologie dolorose a carico dei vari segmenti ossei. E invece possibile fare poco per contrastare il tremore anche se un certo beneficio potrebbe conseguire al miglioramento della performance fisica, per cui il paziente acquista maggior sicurezza nel movimento con un conseguente miglioramento del tono dell'umore e una riduzione dell'anzia. Il risultato più eclatante riferito dai pazienti che hanno eseguito con constanza un programma di fisikinesiterapia è quello di aver ottenuto un aumento del grado di autonomia nelle attività della vità quotidiana ed è quello, in ultima analisi, che ci sentiamo di garantire. 

mercoledì 16 marzo 2011

COME PREVENIRE UN DEFICIT NUTRIZIONALE?


Il peso del paziente è probabilmente il migliore indicatore dello stato nutrizionale: una perdida inspiegabile del 10% ed oltre in un breve periodo (tre mesi o meno) è un segno sicuro di sotto alimentazione e non va trascurato, anche se non è sinonimo di perdida di peso.
Un altro fattore non transcurabile nei malati di parkinson è che i farmaci utilizzati nei tratamento della malattia possono determinare come effetti collaterali, nausea, vomito, perdida di appetito e stitichezza. La nausea e la perdida d'appetito possono manifestarsi all'inizio di un nuovo tratamento farmacologico; questi sintimi solitamente scompaiono via  che il paziente si abitua ai farmaci. Se i sintomi non migliorano si possono adottare differenti strategie terapeutiche. Va detto comunque che, qualora questi sintomi persistano, il paziente deve essere seguito con estrema attenzione perchè non incorra in deficit nutrizionali. Il mio consiglio è quello di rivolgerse al  medico curante o meglio ad un dietologo.
Spesso in pazienti sottopeso o con problemi di deglutizione c'è l'indicazione all'utilizzo di integratori alimentari.
Quando il paziente assume levodopa ed è malnutrito gli integratori alimentari da utilizzare sono ipoproteici e ipercalorici.

IL PESO CORPOREO NEI MALATI DI PARKINSON


Un problema fondamentale nei malato parkinsoniano con con fluttuazioni motorie, in particolare quando sono presenti importanti movimenti involuntari, è il calo ponderale. Di conseguenza nel paziente in terapia con levodopa è importante spostare le proteine di provenienza animale alla sera, ma bisogna anche fare attenzione a non ridurre l'apporto calorico totale che anzi alcuni pazienti andrebbe aumentato proprio per evitare una diminuzione del peso corporeo.
Esistono diversi fattori
PSICOLOGICI E FISICI che possono compromettere un'adeguada alimentazione.
Dal punto di vista psicologico possiamo affermare che spesso l'appetito è ridotto dalla depressione e dalla solitudine causata dall'isolamento sociale. Bassi redditi e altri limiti sociali e fisici possono rendere difficoltosa la preparazione di pasti nutrienti e bilanciati.
Dal punto di vista fisico, la difficoltà di diglutire e la lenteza dei movimento nell'asumere il cibo e nel masticare possono concorrere alla denutrizione del paziente. Nell'anziano, inoltre, si verificano delle variazioni a carico di tutti gli apparati, compreso l'apparato digerente. Le capacità digestive, si riducono, in seguito alla disminuzione del volumen dei succhi digestive e del grado di acidità gastrica e si verifica, al tempo stesso, una significativa riduzione della superficie intestinale di assorbimento, con conseguente diminuita funzionalità.
Tutti questi elementi devono essere attentamente considerati nell'impostare una dieta e le variazioni individuali sono tali da imporre una valutazione specifica caso per caso.

giovedì 3 marzo 2011

LE VITAMINE E IL CERVELLO


Le vitamine reppresentano per la loro struttura e la loro funzione un gruppo di sostanze fondamentali per il sistema nervoso, agiscono come regolatrici e catalizzatori nel metabolismo energetico e nutrizionale delle cellule nervose. Il neurone è in grado di sintetizzare proteine strutturali e lipidi, partend da radicali carboniiosi, amminoacidi, acidi grassi poliinsaturati purchè vi sia le presenza di vitamine in particolare, per la biosintesi strutturale e biogenetica neuronale, è importante la presenza di vitamine idrosolubili, mentre per la protezione è importante il gruppo delle vitamine antiossidanti.
Per dieta antiossidante si intende una dieta ricca di sostanze in grado di bloccare i radicali liberi. Questi sono prodotti dalla naturale attività sellulare e responsabili, se prodotti in eccesso, di alterazioni delle membrane cellulari. Questo fenomeno è, entro certi limiti, fisiologico è identifica il normale meccanismo dell'invecchiamento. Seguire una dieta equilibrata, bilanciata nell'apporto dei vari nutrienti è un modo per controllare meglio i danni dell'invecchiamento, utile a maggior ragione quando a questo si somma una mallatia cronica degenerativa quale è la mallatia di parkinson. Si consiglia quindi di preferire frutta è verdure fresca e di limitare l'uso di alimenti di origine animale.

domenica 6 febbraio 2011

ASSUNZIONE CORRETTA DELLA LEVODOPA


Per un assorbimento ottimale, la levodopa (madopar o sinemet) dovrebbe essere asunta tra i 15 ed i 30 minuti prima dei pasti.
Vi sono condizioni però in cui è meglio astenerse di questa regola al fine di ridurre alcuni fastidiosi effetti legati all'assunzione a digiuno.
1)  Qualora la levodopa provochi nausea conviene consigliarne l'assunzione con una piccola merenda a basso contenuto proteico o, se necessario, durante il pasto; se ciò non bastasse si può utilizzare (domperidone o motilium), un procinetico ad azione periferica che controlla la nausea e favorice l'assorvimento della levodopa.
2)  Il secondo caso si presenta cuando in concomitanza con l'assunzione del farmaco si manifestano discinesie disturbanti. Per controllare questo fenomeno si può far assumere il farmaco ai pasti, ottenendo in questo modo una riduzione del picco ematico.
In alcuni casi i semplici consigli dietetici non sono sufficenti, bisogna allora recorrere a diete personalizzate, grammate per singolo paziente che tengano conto delle abitudini alimentari e dei gusti del paziente ma che nello stesso tempo permettano un controllo della assunzione proteica giornalera. Quando questo non fosse sufficiente si possono utilizzare alimenti "speciali".

venerdì 31 dicembre 2010

DIETOTERAPIA


La necesità di una dieta particolare, per i pazienti malati di parkinson in terapia con levodopa è emersa dalla consapevolezza che i pasti possono interferire con l'efficacia della terapia farmacologica. La levodopa è un amminoacido neutro, che per essere assorbito, cioè passare dall'intestino  al sangue e da questo al cervello, utilizza un trasporto attivo con consumo d'energia. E facile, quindi, comprendere come tutto quello che può rallentare lassorbimento intestinale può portare ad una riduzione di la quantità di farmaco disponibie per il trasporto a livello cerebrale, riducendo di conseguenza l'effetto della terapia farmacologica.
Lo stomaco non è la sede dell'assorbimento della levodopa rivestendo, in questo caso, la sola funzione di transito verso l'intestino tenue dove avviene l'assorbimento. Tuttavia il tempo di permanenza nello stomaco ha importanza in quanto la levodopa viene degradada dagli anzimi gastrici, più a lungo rimarrà nello stomaco e più verrà desgradada, perdendo cosi la sua efficacia.
Ci sono diversi fattori dietetici che influenzano la velocità di svoltamento dello stomaco. I grassi mostrano il tempo di digestione più lungo, seguiti da proteine e carboidrati. Anche le fibre rallentano lo svuotamento gastrico. effetto ritardante esercitano anche un eccesso di acidità gastrica e alcuni farmaci, ad esempio gli anticolinergici. Studi eseguiti su alcuni pazienti che manifestano un eccesso di acidità gastrica hanno dimostrato che l'uso di antiacidi, diminuendo l'acidità gastrica migliora l'assorbimento di levodopa. D'altra parte l'uso di "digestivi" acidi nel paziente con rallentato svuotamento gastrico, favorirebbe parimenti l'assorbimento del farmaco.

giovedì 23 dicembre 2010

TERAPIA


La terapia de un paziente affetto da malattia di parkinson è volta a recuperare al meglio la funzionalità motora e deve essere adatta alle caratteristiche della sua vita e delle sua attività quotidiane. inoltre le considerazini sulla qualità della vità devono essere sempre confortante con gli effetti collaterali dei farmaci e con i costi del trattamento.
Questi attori, associati alla varietà di sintomi motori e non motori della malatia di parkinson, fanno si che la terapia possa divenire complessa. I rimedi terapeutici attuali sono in grado di correggere i sintomi, ma non di guarire la malattia definitivamente.
La terapia deve includere trattamenti di tipo sia farmacologico sia non farmacologico e oggi si associano più strategie per un razionale intervento sulla malattia di parkinson.
TERAPIA FARMACOLOGICA.
La terapia farmacologica si basa sull'utilizzo di quei farmaci che si dimostrano in grado di controllare i sintomi primari della malattia.
Grossolanamente si può suddividere la malattia in varie fasi alle quali corrispondono schemi diversi di terapia. Cosi verranno privilegiati i dopaminoangonisti nelle prime fasi di malattia, mentre succesivamente si intrudirranno levodopa e tutti gli altri farmaci che si renderanno necessari. Poichè i pazienti rispondono in modo differente ai farmaci, un particolare per quanto riguarda la comparsa di eventi avversi, la scelta del medicinale adatto e del dosaggio appropiato deve essere effettuata su basi empiriche, vale a dire per tentativi e correzioni. Il criterio più seguido è quello della polifarmacoterapia, cioè dell'uso combinato di più farmaci ad attività dopominergica.
Fattore importante è l'età del paziente, essendo l'anziano più suscettibile agli effeti indesiderati.
L'obiettivo ideale è quello di raggiungere un buon compenso della sintomatologia con le dosi di farmaco più basse possibile.